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1889-1939: le piastrelle nascono e crescono
La ceramica contiene tutto: il vero e il mendace, il reale e il fittizio, con proporzioni arbitrarie e accidentali...
Gio Ponti, 1925
Per quali dinamiche a Sassuolo a fine 1800, nelle fabbriche della famiglia Rubbiani, nasce quella ceramica industriale che negli anni 1970 avrà nel Distretto modenese-reggiano la sua “capitale mondiale”? Alla domanda risponde questa mostra. Grazie alla straordinaria collezione di Antonio Medici, oltre 7.000 pezzi dai famigliari donati al Comune di Fiorano.
Le prime “piastrelle in maioliche pressate a secco” appaiono in esposizione a Roma nel 1889.
Tra 1920-1939, grazie a nuove norme sanitarie il loro impiego si allarga a macelli, latterie, bagni pubblici ma anche, per esenzioni fiscali in edilizia e nuovi stili di vita, a cucine, bagni, androni di abitazioni private. L’industria sassolese vive un primo, fondamentale “boom”. In forza di questo, assorbiti i guasti della seconda guerra mondiale, le piastrelle del Distretto modenese-reggiano marceranno spedite verso la loro maturità degli anni 1970. E la raggiungeranno “come per miracolo”, se si continua a sottovalutare quanto fatto quando erano ancora piccole.
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Dove si cavavano le piastrelle
Dalle interazioni di oceani e mari con le montagne in formazione e i sedimenti depositati dai fiumi di circa cinque milioni di anni fa si sono formate le argille marnose - le cosiddette argille azzurre, in dialetto còch - del nostro pedemonte e montagne, preziosa materia prima per le piastrelle delle origini.
Nell’Ottocento erano attive cave a Fiorano: Ca’ Rossa, Montecchio; a Sassuolo: Rometta, Mezzavia, San Polo; a Casalgrande: Ca’ de Fii, La Bernardona, Monte Armone.
Dalle mattonelle alle piastrelle
Le “piastrelle”, frutto dell’industrializzazione ed esito della pressatura meccanica di polveri appena inumidite, si distinguono dalle “mattonelle” fatte per stampatura con argilla modellabile allo stato plastico. Una produzione è sempre connessa all’approvvigionamento della materia prima che qui è abbondante. Nelle colline appenniniche modenesi e reggiane sono due gli affioramenti di argilla: la più nota, quella delle terre cotte, chiara, calcarea (marnosa), beige rosato dopo cottura a 980° C. Poi quella da gres, scagliosa, con ossido di ferro, una bassa porosità e alta consistenza meccanica cotta a 1050° C.
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Le fabbriche italiane storiche
In Italia c’è una ampia diffusione di argille e dove ci sono creta e minerali argillosi c’è ceramica. Le piastrelle dipendono da natura della roccia, resistenza al fuoco, presenza di calcare, impurità e agglomerati. I prodotti tradizionali italiani cuociono entro i 1050°C, mentre i gres propriamente detti e le porcellane arrivano fino ai 1350°C.
Nel passato recente il gres rosso era tipico della Ceramica Appiani di Treviso, delle manifatture di Castellamonte, Imola, Sassuolo; il gres bianco della Manifattura Chini Borgo S. Lorenzo (FI); il gres porcellanato pigmentato per mosaico di Vaccari Ceramica Ligure (GE) e Fabbriche Riunite Gosi Ferrari (CR); la terraglia forte bianca di Richard Ginori (MI) e Barbieri Burzi Bologna; la maiolica di Società Cooperativa Imola, Fabbriche Riunite di Ceramiche, Fabbrica F.lli Minardi, Fabbrica Trerè, Fornace Ceramica Bubani a Faenza, Cantagalli (FI), aziende di Marche, Vietri e Napoli; il klinker gres di Fabbrica Ing. Sala (BG) e il gres bianco di Ceramica Joo Milano di Gio Ponti.
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Dalle manifatture alle prime piastrelle
Nel panorama economico sassolese qualcosa si muove dopo l’Unificazione. Nel 1853 le prime macchine a vapore per la filatura di cotone e canapa sono introdotte da Angelo Dieci, “fabbricatore di stoffe”.
Inoltre le fabbriche Rubbiani, divise tra i fratelli Carlo e don Antonio, mostrano un’evoluzione qualitativa notevole, riconosciuta da medaglie e attestati in esposizioni nazionali e non. VV ci sono 2 lettere da eliminare
Gli imprenditori sassolesi partecipano inoltre alle più importanti iniziative per lo sviluppo infrastrutturale del territorio: il ponte sul fiume Secchia; le linee ferroviarie per Modena (1883) e Reggio (1891-92) che aprono la strada a nuovi insediamenti manifatturieri. La ramificata famiglia Rubbiani, attraverso matrimoni con i Dieci e i Carani, si disimpegna progressivamente dalla ceramica e investe in altri settori: energia elettrica per l’illuminazione urbana (1913) e una grande cella frigorifera affittata al Comune (1915). I ceramisti partecipano così in prima persona alla modernizzazione in corso.
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Formati, smalti, decori
Le mattonelle Rubbiani preferiscono il formato 20x20 cm mentre al sud è diffusa la riggiola vietrese 19x19 cm. Erano impiegate prevalentemente per la pavimentazione. C’erano inoltre i formati piccoli per il grès porcellanato policromo di larghissimo uso in edifici pubblici di primo 1900; targhe e numeri civici formati speciali in maiolica. Di particolare interesse architettonico i pezzi rettangolari ottenuti con taglio di uno intero e i pezzi convessi per i bordi. Colori, pigmenti e smalti diverranno nei decenni sempre più importanti e, seppur rigorosamente “fatti in casa”, amplieranno la tavolozza.
Nel panorama delle tecniche decorative prevalgono i decori a mano, a mascherina, la pittura, la decalcomania rara ma già esistente. La serigrafia si affaccerà solo nella seconda metà del 1900.
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Fabbrica Carlo Rubbiani
“Un’unica fabbrica di piastrelle smaltate esiste oggi in Italia, quella della Ditta Carlo Rubbiani di Sassuolo. Altre fabbriche producono bensì piastrelle, ma tutte con materiali di composizione e quindi più costose”.
Dall’opuscolo promozionale per la Società Anonima per la fabbricazione delle piastrelle d’argilla smaltate, Modena 1911
Giovanni Maria Rubbiani acquista nel 1847 la fabbrica della Terra Rossa di Contrada Lei avviata verso la fine del 1700 dal pittore di maioliche Pietro Lei. Nel 1853 acquista dal conte Ferrari Moreni la prestigiosa Fabbrica della Majolica di Contrada del Borgo e la affida ai figli don Antonio e Carlo.
Don Antonio è un prete progressista, sospeso a divinis per le sue idee liberali, nonché assessore nel Comune di Sassuolo dopo l’Unità. Viaggiò molto in Italia e in Europa, visitò l’Esposizione Universale di Parigi del 1867, raccogliendo ovunque spunti di miglioramenti per le sue fabbriche.
Il fratello Carlo fu attento alla Fabbrica della Majolica o Vecchia di cui assunse la guida chiamandola Ditta Carlo Rubbiani. Decisivo per il “perfezionamento” della produzione l’arrivo a Sassuolo del pittore correggese Domenico Bagnoli (1824-1889), che poi cederà il testimone al ventenne fiorentino Carlo Casaltoli (1865-1903). A lui il merito del passaggio della Ditta Carlo Rubbiani alla produzione di “pianelle” decorative seriali per pareti, acquai, ecc.
Si è finora datata al biennio 1888/1889 questa “rivoluzione”. Data di recente messa in discussione dal ritrovamento di bozzetti per piastrelle decorate del Bagnoli, databili agli ultimi anni della sua direzione presso la Carlo Rubbiani (1882-1885).
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Società Anonima Ceramica di Sassuolo
Carlo Rubbiani non trovò degni eredi in famiglia, se non Giovanni e la moglie Rosina Dieci che assieme ai Bertoli acquisteranno l’ex Fabbrica della Terra Rossa. Sul finire del 1800 Milano era diventata la maggior piazza commerciale e bancaria del Regno. La ditta Rubbiani vi andò a cercare ordini e capitali per nuovi mercati e investimenti. A Sassuolo si sviluppavano tecnologie nuove ed emergeva il tema dei collegamenti. In questo quadro la Carlo Rubbiani incontra una “crisi di crescita” che porterà alla sua liquidazione e all’ingresso di nuovi soci e di Matteo Olivari. Genovese di nascita ma milanese di formazione, costituirà la Società in Accomandita Semplice Carlo Rubbiani, di Rubbiani, Olivari & C (1910) che nel 1920 si trasformerà in Società Anonima Ceramica di Sassuolo. Si occuperà oltre che di piastrelle smaltate, materiali refrattari e laterizi, anche di energia elettrica e ghiaccio artificiale. La sede della società è ora Milano. La fabbrica si amplia verso fabbricati e terreni confinanti. La Società supera così le turbolenze di quegli anni, compreso il 1932 con la scomparsa prematura di Olivari, vero artefice della rinascita ceramica sassolese e custode del buon nome dei Rubbiani.
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Società Anonima Ceramiche Marca Corona
La morte di Matteo Olivari (1932) porta a un riassetto societario e la Società Anonima Ceramica di Sassuolo diventa Società Anonima Ceramiche Marca Corona (1935). Si delibera un forte aumento di capitale e un progetto di ampliamento dello stabilimento di via Cavallotti. Viene trasformato l’antico filatoio della seta non più adatto ai formati e decori che Marca Corona produce dopo l’arrivo di altri decoratori. Lo stabilimento, ingrandito con più forni e ciminiere, resta vicino alla residenza dei Rubbiani. La produzione ceramica è già classificata inquinante, tra le industrie da collocare fuori abitato. Lo scoppio della guerra bloccherà il progetto di riforma urbanistica e le forniture di combustibile con rallentamenti nella produzione. Marca Corona subirà danni da bombardamenti e asportazione di macchinari.
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La guerra commerciale della “S”
A Sassuolo tra gli anni 1920 e 1930, oltre alla ceramica, erano fiorenti le attività di distillerie e salumifici. Tra queste doveva essere nata una sorta di competizione commerciale in cui si contendeva l'uso della “S” di Sassuolo. Le distillerie avevano già fatto proprio il nome Sassolino per il famoso liquore, la ditta
Bellentani imprimeva nel piombo che poneva agli insaccati la lettera “S”.
Non a caso la Società Anonima Ceramica di Sassuolo in quegli anni registrava i suoi marchi con la “S” e nell'elenco dei prodotti tutelati specificava che vi rientravano anche liquori, vini e salumi.
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Ing. Rizzi & figli Sassuolo
Poche sono le notizie su questa manifattura ceramica. Attiva da inizio secolo fino ai primi decenni del 1900, aveva sede in via Repubblica e produceva vasellame e stoviglieria ma anche piastrelle. Fondata da Giusto Rizzi, di origine bolognese e probabilmente già impiegato nella fabbrica Rubbiani, rimase attiva fino al 1944, anno della morte di Alfredo Rizzi.
La pressatura a secco a Sassuolo
La macchina poi utilizzata per realizzare le prime piastrelle pressate a secco fu brevettata a metà del 1800 in Inghilterra. doppio spazio Fino a non troppi anni fa era possibile osservarne modelli in fabbriche storiche. A cavallo del 1900, la pressa tedesca Dorst si diffuse anche in Italia, poi sostituita nel secondo dopoguerra da modelli Sacmi. Il processo di pressatura a secco richiedeva argilla frantumata e raffinata, setacciatura per una granulometria uniforme, umidificazione al 5-10% e pressatura con macchine all’epoca a stella o ginocchiera. Questo processo rende più rapido l’essiccamento rispetto alla precedente stampatura della mattonella a umido.
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Ceramica Ninzoli Marconi Lusenti
Poco si sa di questa piccola anche di questa fabbrica ceramica. Rimane chiaro il cognome dei proprietari Ninzoli, Marconi e Lusenti. Dai pochi dati recuperati, la bottega produceva tra la fine del 1800 e gli inizi del 1900 nel quartiere Rocca di Sassuolo, in vicolo Avanzini, come hanno confermato anche gli scavi archeologici effettuati durante i recenti interventi di ripavimentazione di piazza Martiri Partigiani.
Il “bianco Sassuolo”
Il famoso “bianco di Sassuolo” ha origine con le piastrelle di piccolo formato. La tonalità bianca così precisa, morbida, vellutata, corposa sarà ottenuta, in epoca più recente, dalla fusione di fritte - composizioni vetrose prive di ossido di piombo - con il biossido di zirconio come opacizzante.
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I Carani, una famiglia di imprenditori
La vicenda della famiglia Carani inizia con Giuseppe Carani, attivo a Fiorano intorno alla metà del 1800 in una delle tre fornaci per laterizi poste lungo via Ghiarola vecchia. Verso la fine del secolo l'attività si era ingrandita e sviluppata con una moderna fornace Hoffmann, raddoppiata negli anni successivi. I figli Egidio ed Eliseo continuavano l'attività paterna acquistando e aprendo nuove fornaci nella zona, arrivando ad avere praticamente il monopolio del settore. Il figlio di Egidio, Eugenio, dinamico imprenditore ‘alla lombarda’, dal 1924 iniziava in società con Guido Giglioli l'avventura della ceramica Carani&Giglioli. In quegli anni tentava tante altre attività: sempre con Giglioli una fornace a Baggiovara, a Sassuolo l'ISMA (Industria Sassolese Macchine Agricole) e l'ILPAS (Industria Lavorazione Pavimenti Affini Sassuolo). Col cugino Mario nel 1930 apriva il famoso cinema teatro Carani in viale XX settembre. Nel 1935 fondava la ceramica SACES. Dopo la seconda guerra mondiale, instancabile, si imbarcava in nuove attività fino al 1963, anno della sua morte.
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Ceramica Carani & Giglioli. La ceramica si sposta nel Reggiano
Negli ultimi secoli sulla sponda reggiana del Secchia, a Veggia di Casalgrande, grazie alle acque del Canale di Reggio avevano operato una fornace, una filanda, folli per panni, fabbri, falegnami e pure un oleificio. Qui nel 1911 dal fornaciao Eugenio Carani, la cui famiglia possedeva fornaci anche a Fiorano e a Sassuolo, e da Guido Giglioli, commerciante di formaggi, viene avviata la produzione di piastrelle per rivestimenti. L’acqua del fiume consentiva anche la produzione della energia elettrica necessaria alla fabbrica mentre la vicina ferrovia Sassuolo-Reggio Emilia facilitava i trasporti delle merci. spazio doppio Il primo conflitto mondiale ha ostacolato lo sviluppo dell’azienda che potrà invece decollare negli anni 1920.
Per i colori di smalti e decori, per l’eleganza delle figure le piastrelle Carani & Giglioli viaggiano in linea con le più alte esperienze artistiche e grafiche di inizio secolo.
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L’Industria Ceramica Veggia inventa il KerVit, modello per le lastre sottili
L’Industria Ceramica Veggia si costituisce il 31 marzo 1931 per fabbricazione e commercio di piastrelle di terracotta, smaltate ed affini per rivestimenti, subentrando alla Carani & Giglioli. L’accomandatario è Carani Eugenio figlio di Egidio. Nel 1937 si trasforma in Società Anonima Industria Ceramica Veggia. Gli uffici amministrativi restano a Sassuolo, in piazzale Teggia 16, la sede legale è trasferita a Milano. La Ceramica Veggia porta avanti innovazioni tecnologiche e di prodotto già qualità della Carani & Giglioli. E avrà nel Vitral poi KerVit, su brevetto di Antonino Dal Borgo e Maurizio Korach, il suo prodotto di punta. Una piastrella sottilissima, ottenuta per colaggio, che anticipa le lastre sottili di oggi.
“La ceramica? era polvere e ciocchi!” Basta questa frase a dare un’idea delle condizioni di lavoro nelle fabbriche di quei primi decenni.
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KerVit, un prodotto innovativo
Già negli anni 1930 la Ceramica Veggia creò il KerVit, una piastrella innovativa: leggera, sottile, brillante, adatta per l’edilizia e l’architettura. Fu prodotta anche una variante KerVes, per esterni. Non durò sul mercato sia per problemi di posa, non c’erano ancora collanti adatti, sia perché l’inventore Dal Borgo non volle condividere il brevetto. Dal 1948 al 1961 fu usata nei formati 7,5x15cm, listellino, poi quadrata fino alle tessere. Si prestò alla decorazione per decalcomania e fu impiegata per scopi pubblicitari: interessanti le raffigurazioni del Duce e Matteotti realizzate con la tecnica della mascherina.
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La Fabbrica della Terra Rossa diventa stabilimento
Già attiva dal 1788, la Fabbrica della Terra Rossa o di via Lea nel 1910 seguiva le sfortunate vicende della Fabbrica Rubbiani di via Cavallotti. A risollevarla interveniva una cordata composta dai Rubbiani stessi, i Dieci e i Bertoli che la riattivavano per la produzione di piastrelle. Nel 1926 la manifattura passava nelle mani dell'ingegnere modenese Guido Siliprandi che la rinnovava e potenziava. Negli anni 1930 la produzione si spostava in un nuovo e moderno stabilimento posto vicino alle due stazioni dei treni lungo via Radici in piano a Sassuolo. Per sostenere lo sforzo finanziario era entrata nella società la famiglia Gambigliani Zoccoli di Modena; contestualmente nel 1938 veniva cambiato il nome in SAIME (Società Anonima Industria Materiali Edili). Non sono chiare le dinamiche e i tempi, ma a un certo punto l'ing. Siliprandi lasciava l'azienda, tanto che nei primi anni 1950 era impegnato alla ceramica Marca Corona.
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Cataloghi e campionari per le nuove piastrelle
La nuova piastrella per l’architettura di interni ed esterni si sviluppa a fine 1800 - inizio 1900 con la meccanizzazione dei processi, la serialità costante e soprattutto gli input derivanti dalle tendenze internazionali esibite dalle fabbriche nelle esposizioni universali con cataloghi, campionari, modelli, terminologie, caratteristiche tecniche e, non da ultimo, la qualità. Per distinguersi bastano pochi elementi: un disegno floreale raffinato, antiche decorazioni di oggetti riprogettate per le piastrelle coordinate sulla parete, infine la piastrella come quadro pittorico. Molto del repertorio è standard, come le targhe e la segnaletica urbana di antico sapore artigianale. Molto praticata la caccia a riconoscimenti, diplomi e attestati di partecipazione. Il successo di una fabbrica passa anche attraverso un gruppo di lavoro omogeneo tra tecnici e addetti, facilitato anche dalla convivenza in abitazioni poste nei pressi delle fabbriche.
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Decori e disegni
Il “coordinato”, disegno composto da più piastrelle, è raro ma presente nei primi decori. La modularità è nella (accento sbagliato in é e spazio doppio prima di nella) composizione, completata con piastrelle modellate sui bordi o “bisello” smussato in alto. I motivi decorativi sono perlopiù ripetitivi. Nei rivestimenti prevale l’orientamento longitudinale verticale, a volte simmetrico tra alto e basso. Nella piastrella a disegno geometrico, usata per la pavimentazione, prevale il decoro in diagonale, con moduli identici che creano una superficie a tappeto.
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Dalla vecchia Terra Rossa alla nuova SAIME
“Una fabbrica nuova, modernissima per impianti e costruzioni, attrezzatissima (…) sorge a fianco della strada che porta a Modena nei pressi della Ferrovia. È la SAIME, Società Anonima Industria Materiali Edili.” Così si chiama dal 1938 la ditta lo Stabilimento Ing. Guido Siliprandi avviato nel 1934 con il trasferimento della Fabbrica della Terra rossa di via Lea. Importante il ruolo dell’ing. Leone Padoa nella conduzione della SAIME e nello sviluppo tecnico, in particolare dei forni. Ebreo, nel 1943 dovrà fuggire sull’Appennino.
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Dal legno ILPAS alle piastrelle SACES
Lungo via Mazzini a Sassuolo, Eugenio Carani e Guido Giglioli avevano aperto una fabbrica denominata ILPAS (Industria Lavorazioni Pavimenti e Affini Sassuolo) per la produzione di pavimenti e altri prodotti in legno per l'edilizia. L'attività venne sostituita tra 1935 e 1941 dal solo Eugenio Carani con una ceramica denominata SACES (Società Anonima Carani Eugenio Sassuolo) con personale formato proveniente da altre ceramiche. Nel forno Hoffmann a 18 camere si cuocevano 100.000 piastrelle utilizzando legna ma anche gusci di mandorle e noci o pula di riso. Le piastrelle smaltate erano cotte, in circa otto ore, dentro 5 forni tubolari da 75 canali in cui erano sistemate e tolte interamente a mano dagli addetti, con i disagi del forte calore. Ma quasi tutte le operazioni, dalla pulitura dei bordi delle piastrelle fino alla scelta e all’inscatolamento, erano ancora effettuate a mano. La SACES subiva pesanti bombardamenti nella seconda guerra mondiale; nel dopoguerra ripartiva sperimentando, in contemporanea con Marca Corona, la nuova tecnologia del forni a tunnel.
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Filippo Marazzi da droghiere a fornaciaio
Filippo Marazzi nasce nel 1874. Il padre Pietro da Indovero (Lecco) era emigrato a Sassuolo. Qui produceva caldaie in rame battuto per caseifici. Dopo avere fatto il garzone di bottega, Filippo è spedito in Abissinia e sarà uno dei pochi militari sopravvissuti al massacro di Adua (1896).
Tornato a casa, con due dei cinque fratelli acquista dalla famiglia Muggia la drogheria di Piazza Garibaldi a Sassuolo. Dal 1951 al 1954 sarà sindaco di Castellarano. Venduta la drogheria-distilleria alla famiglia Roteglia, nel 1934, a sessant’anni, Filippo si lancia in una nuova avventura industriale. Con pochi operai in un campo di sua proprietà alla periferia nord di Sassuolo avvia la costruzione di una fornace per produrre tegole e mattoni. Capriate e lamiere dei tetti sono poggiate su filari di pioppi tagliati a quattro metri da terra. Nasce così quella che passerà nella leggenda locale come la “Fabbrica di cartone”. Però Filippo impianta moderne attrezzature. Nel giro di due anni passa alla produzione ceramica e in breve avrà un centinaio di operai.
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Dopo i mattoni le prime piastrelle Marazzi
In mostra alcuni rari esemplari di mattoni, tegole e piatti marchiati Filippo Marazzi. I laterizi ricordano lo stretto legame tra questi e le piastrelle, ad opera di quei fornaciai che, quando non si limitano a fornire capitali, si trasformano in imprenditori ceramici.
È anche rappresentata la tipologia delle prime produzioni ceramiche realizzate da Marazzi con i moderni forni Hoffmann impiantati per la prima cottura e i forni tubolari per il prodotto smaltato.
Una produzione che si misura, dopo i laterizi e i piatti, con le numerazioni civiche e le immagini sacre. Fin dagli inizi si manifesta, anche per la forte religiosità di Filippo, il legame con temi religiosi e in particolare con la Madonna, i cui simboli dal secondo dopoguerra figureranno stabilmente nello stemma dell’azienda. Le piastrelle Marazzi riprendono anche fotografie del Duce, producendo esemplari di pregio grafico in linea con le tendenze del momento storico e politico.